“Ravenna in estate ha il potenziale per essere una piccola New Orleans, e io non vorrei vivere da nessun’altra parte se non qui”. Detto da un chitarrista che ha fatto della musica blues e soul una professione a tempo pieno, c’è da fidarsi. Francesco Plazzi, 40 anni, ravennate doc residente a Lido Adriano, è uno dei protagonisti dell’associazione guidata da Giovanni Poggiali, Insieme per Cambiare. Diplomato al conservatorio di Adria dopo un percorso di formazione che l’ha portato per due anni al Musician Institute di Londra e alla Sae di Milano, quando ha dovuto decidere se cogliere al volo l’offerta di lavoro in radio Rds nel capoluogo lombardo – cuore pulsante dei concerti nel Nord Italia – o tornare in Romagna a costo di lavorare in fabbrica, ha preferito la seconda. Le cose poi hanno preso una piega favorevole, che ormai otto anni fa gli ha permesso di dare vita a Spiagge Soul, uno dei festival più significativi dei mesi estivi lungo tutti i lidi ravennati.
Plazzi, i Fiumi Uniti non sono certo come il Mississippi. Che cosa si nasconde dietro l’idea di Spiagge Soul?
«C’è un aneddoto. Per un po’ di tempo ho lavorato come tour manager per un’agenzia che organizzava tournée di band internazionali soul e blues, che mi ha dato l’opportunità di conoscere artisti e festival importanti. Mi sono appassionato al genere, tanto che stavo per ripartire per New Orleans. Avevo già il biglietto quando ha fatto capolino mia figlia. Così ho pensato: non vorrei vivere da nessun’altra parte se non in Romagna. Un giorno, scendendo lungo la Romea all’altezza di Casalborsetti, i musicisti della band americana che stavo accompagnando, incantati dalla bellezza di questo paesaggio, mi hanno detto, “sembra di stare sul Mississippi, solo più piccolo”. Quell’occasione ha rafforzato il mio amore per questi luoghi e per l’immaginario del romagnolo tipo: operoso, caldo, vispo, simile per certi versi a quei vecchietti ospitali che ho conosciuto nei miei viaggi in Louisiana. Da qui l’idea di un festival che portasse sulle nostre spiagge un ‘pezzetto’ di America soul».
Poi quella prima idea è diventata un punto di riferimento per gli amanti di un genere…
«Dai tre giorni della prima edizione, Spiagge Soul è passato a 11 giorni, con ospiti di fama internazionale. Ma le difficoltà a organizzarlo non mancano. E’ una manifestazione che ogni anno va ripensata, cercando di mantenere inalterata l’idea degli inizi: innescare una serie di emozioni attraverso concerti nelle piazze, nei baretti e negli stabilimenti balneari, che sono diventati la colonna portante della rassegna».
Manca ancora qualcosa?
«Abbiamo una bella macchina, con le caratteristiche giuste per fare molta strada. Bisogna però trovare i modi di metterci la benzina, in sostanza, di incrementare il budget. Il festival vuole mantenere la formula base della gratuità, rispettando la sua funzione culturale ed educativa. Vogliamo che dopo un concerto rimanga qualcosa, che crescano i live in spiaggia, le band locali, la partecipazione, e questo sta lentamente accadendo. Sarebbe bello riuscire a lavorare con più sinergia con tutti gli enti attivi nelle varie località, dalle proloco ai comitati cittadini, fino ai singoli operatori. La politica potrebbe incentivare proprio questo dialogo».
Oltre alla promozione, cos’altro servirebbe all’offerta turistica dei lidi?
«Il bello dei nostri lidi è che sono già abbastanza diversificati. Ognuno ha una sua vocazione: Punta è più per le famiglie, Marina ha un particolare appeal anche per giovani, e via dicendo. Ma sono parte di un’unica realtà che dovremmo comunicare in maniera unitaria, come tasselli dello stesso mosaico. Ho l’impressione che Ravenna, anno dopo anno, cerchi sempre di reinventarsi all’ultimo minuto. Invece abbiamo un ricco portfolio che ci permetterebbe di andare avanti in una direzione ben precisa. Tuttavia siamo costretti ad aspettare norme sempre nuove prima di decidere cosa si può o non si può fare. E’ un procedere zoppicando, arrivando all’ultimo e rischiando di comunicare male e in maniera scoordinata le iniziative di tutto il territorio. Pensare a una proposta culturale divulgata bene di tutte queste realtà sarebbe promettente, lavorando con stima e collaborazione».
E’ un modello di offerta turistica che in questi anni si è dovuto confrontare con ordinanze e regole sulle diverse tipologie di intrattenimento in spiaggia…
«Mi piace che ci siano proposte diversificate, dalla discoteca ai concerti. Senza entrare nel merito delle questioni tecniche delle normative, mi sembra che tutte queste attività debbano fare i conti con una serie di limitazioni, come quella del numero massimo di concerti a settimana. Alla fine sono più i limiti allo spirito imprenditoriale che le agevolazioni. Bisognerebbe trovare la giusta misura per non sprecare una grande potenzialità, senza d’altra parte sforare nel caos».
Sull’altro versante, invece, c’è la città. Risente forse della concorrenza dei lidi?
«Ravenna potrebbe avere una maggiore attività serale che unisca mare e città. D’accordo le serate con il centro aperto, ma si potrebbe pensare a qualcosa che lasci il segno, piuttosto che a tante piccole iniziative che alla fine non si ricordano».
E collaborare con altri territori oltre provincia è una possibilità concreta?
«Da quando sono tornato a Ravenna, ho iniziato a vedere la Romagna come un grande territorio ricco di iniziative interessanti. Se iniziassimo a essere una ‘città diffusa’ potremmo essere veramente uno dei punti di riferimento più competitivi. La collaborazione è possibile con tutti. Penso al ricchissimo patrimonio di iniziative di qualità che abbiamo, Strade Blu, Festival di Santarcangelo, Cisim, Moondogs, Hana Bi, Arena delle balle di paglia… . Bisogna superare le difficoltà ad aprirsi e pensare in grande”.